I danni collaterali del Covid: così il lockdown danneggia l’udito (anche dei giovanissimi)

Quanto hanno influito questi mesi di lockdown, di isolamento, di didattica a distanza sull’udito dei giovani e dei giovanissimi? Quanto hanno inciso le molte ore costretti ad ascoltare musica o video su Internet, blindati in cameretta mentre i genitori lavorano in sala (e parliamo dei più fortunati)? Non lo sa nessuno e sarà sicuramente uno dei temi di salute pubblica da affrontare nei prossimi anni visto l’aumento esponenziale di dispositivi elettronici in ogni fascia della popolazione ma soprattutto tra i 12 e i 18 anni.

“Prima del lockdown – afferma il Dottor Paolo Petrone dell’Ospedale Di Venere di Bari – sono stati pubblicati alcuni lavori scientifici interessanti su come negli ultimi anni siano aumentati i problemi di udito tra i giovani. Mi riferisco per esempio a uno studio dell’Università di San Paolo del Brasile condotto su alcune centinaia di ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 17 anni, dove emergeva come la metà di loro soffrisse di disturbi dell’udito come ronzii o fischi. Ancora più rilevante il fatto che chi affermava di provare questi fastidi lo ritenesse come un fatto normale dopo alcune ore passate ad ascoltare musica ad alto volume in cuffia e nessuno si fosse posto il problema di consultare un medico. Tantomeno le loro famiglie. Non ci sono studi scientifici sugli effetti del lockdown sull’udito dei giovani ma è facile immaginare che certamente i danni all’udito in alcune fasce di età siano aumentati”.

Le aziende produttrici hanno da tempo provveduto a installare limitatori del volume sui loro apparecchi, smartphone prima di tutto, ma è sufficiente? Continua il Dott. Petrone: ”Innanzitutto è bene ricordare che i limitatori di volume sono stati imposti alle aziende produttrici dall’Unione Europea con una soglia di sicurezza a 80-85 decibel. Ma molti di questi device, specialmente se ‘implementati’ con alcuni tipi di cuffie, raggiungono facilmente la soglia dei 100 decibel, una soglia dannosa per l’udito. Del resto credo sia capitato a molti di imbattersi in giovanissimi sulla metropolitana o in autobus e poter sentire il suono di quello che ascoltano anche da più di un metro di distanza nonostante indossino cuffie o auricolari. Il rischio che corriamo è di trovarci tra una ventina di anni con una generazione che soffre di ipoacusiamolto prima di quanto per natura sia preventivabile accada”.

“Parliamo di un problema culturale. Se un ragazzo inizia a vederci poco bene, lo portiamo subito da un ottico per fargli fare un paio di occhiali. Ma difficilmente ci preoccupiamo se invece ci senta bene. Non è un problema da sottovalutare. Chi sente male può essere pericolo per se stesso e per gli altri, pensiamo per esempio alla guida in auto. Non solo: diversi studi, pubblicati per esempio da Lancet, hanno dimostrato come tra i fattori dell’insorgere della demenza senileci sia anche un abbassamento dell’udito non curato nell’età media 40-50 anni. Penso che sarebbe molto utile, nei prossimi anni, uno screening nazionale di massa sulla popolazione giovane e su come sente. Purtroppo anche la figura del medico scolastico è scomparsa. Ma ai genitori dico: è un problema culturale. L’apparecchio acustico è ancora visto come uno stigma sociale, l’occhiale da vista invece come un accessorio di moda. Ma anche poter sentire bene gli altri, e quindi noi stessi, dovrebbe poter tornare di moda”.

Per superare queste barriere culturali Confindustria Dispositivi Medici ha lanciato con la sua associazione dei produttori di protesi acustiche, Anifa, la campagna di sensibilizzazione “Ascolta la vita”, che attraverso le storie di una serie di personaggi animati racconta i disagi dell’ipoacusia e le ripercussioni sulle persone, anche più giovani.

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce deficit uditivo l’inabilità a sentire come una persona normo udente. L’ipoacusia è legata a diversi fattori e “agli effetti combinati di tossicità ambientale in termini di rumore e danno metabolico-ossidativo, invecchiamento, malattia ed ereditarietà”. All’identificazione dei problemi di ipoacusia possono concorrere diverse procedure e, accanto alla valutazione audiologica e all’otoscopia, hanno un ruolo importante anche i questionari di autovalutazione sulla cui base i pazienti riferiscono la loro percezione di presenza di un “udito non normale” basandosi sulle risposte a diversi item relativi alla percezione, discriminazione, localizzazione, lateralizzazione del suono e la discriminazione del parlato nel silenzio e nel rumore.

In termini epidemiologici, la prevalenza in Italia dei problemi uditivi è stimata pari al 12,1% della popolazione, circa 7 milioni di italiani con ipoacusia con una significativa differenziazione tra le classi di età e un aumento significativo con l’invecchiamento (da percentuali che non superano il 10% della classe di età 13- 45 anni al 25% di chi ha dai 61 agli 80 anni, fino al 50% tra gli over 80).

Alla luce dell’invecchiamento della popolazione, utilizzando anche le stime di prevalenza per classe di età dell’AIRS (Associazione Italiana Ricerca Sordità) si evince una generale crescita progressiva del numero di persone con problemi di ipoacusia: si va infatti dai 6.923.000 del 2012 ai 7.258.000 del 2018, con un incremento complessivo del 4,8% nel periodo considerato. Tuttavia, pur a fronte del ben più consistente numero rappresentato dalle persone con 60 anni e più (oltre 5.000.000 nel 2018), l’incremento maggiore si riscontra, oltre che nella classe degli ultraottantenni, nella classe d’età di età intermedia (dai 46 ai 60 anni) quella più esposta ai rischi di tipo ambientale (+9,8% contro il +7,7%). Si tratta inoltre di una quota che appare più elevata tra gli uomini: 13,4% contro il 10,4% delle donne.

Nel complesso quindi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che oggi le persone con ipoacusia siano 466 milioni in tutto il mondo e che nel 2050 questo numero raddoppierà, raggiungendo circa 900 milioni di persone nel mondo. Soltanto in Europa, il numero di persone con perdita uditiva autodiagnosticata è oggi di 70 milioni e aumenterà a 104 milioni entro il 2050.

Ipotizzando per l’Italia un andamento simile a quello previsto per l’Europa, ma a partire da una percentuale di ipoacusici più elevata che ingloba il più significativo tasso di invecchiamento della popolazione italiana, si può prevedere per il 2025 un numero di persone con calo uditivo autodiagnosticato pari a poco più di 8 milioni e per il 2050 compreso tra i 10 e gli 11 milioni di persone.

Fonte REDAZIONE TPI